La fortuna dell’atleta tra radici e talento
La forza garbata di un atleta è entusiasmante, spesso motivo di clamore. Quella di Jannik Sinner è un caso recente, ma non è il primo e non sarà nemmeno l’ultimo.
La mente di un atleta è frutto di sistemi resistenti e iperconnessi, alimentati da una molteplicità di strutture di vario genere. Si nutre di energia e restituisce uno spettacolo che produce ricchezza e compiacimento. Nascosta da una curiosa riservatezza, sostiene carriere che sembrano predestinate e forse lo sono. Il fattore mentale ci affascina persino quando affermiamo il valore dell’attività fisica o quando stabiliamo lo sport giusto per un figlio che avrebbe già scelto per conto suo. Il problema è che non sempre riusciamo a capire le ragioni di un giovane e magari, nel frattempo, compriamo abbigliamento e attrezzatura per praticare noi stessi l’ennesima disciplina grazie alla quale metterci alla prova.
C’è chi sostiene che l’aspetto mentale sia un fattore determinante. In realtà, è uno dei tanti. Come lo spazio e quindi gli impianti. Come il tempo. Come le persone, le organizzazioni, le risorse materiali. E ancora, il corpo, la salute, il benessere e la qualità della nostra vita. Eppure, convinti come siamo che la mente e il cervello di un atleta spieghino qualsiasi tipo di risultato, ne sappiamo così poco.
Pensandoci bene, la forza garbata del campione è una caratteristica ben piantata a terra: ci sono famiglie, comunità, territori, composti da persone fisicamente educate, che hanno in custodia un’élite destinata a intraprendere una carriera relativamente breve. Il dubbio è che la fortuna di una persona sia, allora, nelle radici più che nel talento, ma forse bisogna innovare partendo proprio da questa incertezza.
Proviamo a ragionare sui dati. Il Rapporto Sport 2023, prima indagine di sistema diretta ad evidenziare la rilevanza economica e la capacità di generare benefici sociali addizionali del settore, rappresenta uno spaccato della situazione attuale nel nostro Paese. Ad emergere è il bisogno di recuperare la dimensione sociale, puntando su una migliore qualità della vita e la possibilità di prevenire l’andamento decrescente della pratica sportiva all’aumentare dell’età (Figura 1).
L’impatto economico della sedentarietà è pari a 4 mld e la classifica dei Paesi OCSE, secondo i criteri dell’OMS, ci vede al quarto posto per quota di popolazione sedentaria tra gli adulti, con un tasso di persone che non raggiungono un adeguato livello di attività fisica del 44,8%.