085 297338 / 338 3815371

(Eurosport)

È stato un mese di maggio senza tregua, gli appuntamenti, sia pubblici che privati, mi hanno lasciato un tempo davvero ridotto per riflettere sulle notizie che andavo registrando giorno per giorno.

E proprio oggi, leggendo la rubrica di Luigi Garlando su Sportweek ho potuto intessere i diversi fili che ho lasciato s’intrecciassero nell’insieme organico delle ultime settimane. Sono stata attratta, infatti, dalla sottolineatura di Garlando nel riconoscere a un marcatore puro come Chiellini di essere un esempio per i ragazzi o meglio una piccola lezione di educazione civica sul senso del dovere, sullo spirito di solidarietà e di sacrificio e sulla necessità di aiutare un compagno in difficoltà. Come spesso accade, l’ambiente sportivo offre spaccati di una vita vissuta sul campo che sono semplici da interpretare e, anche per questo, risultano efficaci nel suggerire, soprattutto ai giovani, quei comportamenti convenienti per costruire una società migliore. Prendendo come riferimento il programma d'azione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, nei prossimi 8 anni saranno ancora numerose le opportunità di creare dei collegamenti necessari tra cultura, sport, scuola, famiglia, pace e giustizia. Cogliere, ad esempio, i sentimenti più istintivi dei giovani e metterli in relazione con ciò che può insegnare una carriera calcistica, come nel caso di Giorgio Chiellini, potrebbe essere un’idea da sviluppare. Però, se l’intento è quello di ispirare i giovani con l’entusiasmo di guardare al futuro all’insegna del valore collettivo dell’aiuto reciproco, allora occorre aggiungere dell’altro.
Abbiamo bisogno, sì, di comportamenti virtuosi, esempi presi dal campo ed esperienze vissute, ma per accompagnare le nuove generazioni nella loro crescita bisogna anzitutto sollecitare la volontà di creare un futuro. Rendere omaggio, quindi, a un comportamento proattivo, che scavalli il mito abusato della resilienza e si caratterizzi per un’attenzione particolare alle storie. Perché, citando Donna Tartt, scrittrice statunitense, vincitrice del Premio Pulitzer, la narrazione ha aiutato l’umanità a trovare un disegno nel tessuto più ampio che si estende ben oltre l’esistenza individuale.

Ecco, io credo che lo sport dovrebbe contribuire concretamente a una società migliore all’interno di questa ampiezza. E farlo assumendo delle posizioni aperte e dirette proprio in forza del mondo che gli è proprio: quello della prestazione e dello spettacolo. Mi vengono in mente le recentissime parole di Steve Kerr, allenatore dei Golden State Warriors, durante la conferenza stampa poco prima della partita della finale della Eastern Conference a Dallas. La sua attenzione è stata tutta per le vittime della sparatoria a Uvalde, in Texas. Niente che sapesse di basket, solo dichiarazioni dirette riguardo una legislazione che controlli i possessori di armi e la consapevolezza che la rabbia e il dolore, in alcune circostanze, non possono confluire in un comune minuto di silenzio.
L’obiettivo numero 16 dell’Agenza 2030 prevede la promozione di società pacifiche e inclusive, un accesso universale alla giustizia e la costruzione di istituzioni responsabili ed efficaci a tutti i livelli. Lo sport, dal canto suo, può giungere a delle verità complesse anche attraverso l’immaginazione. Però, bisogna mettere assieme storie diverse, crearne di nuove, prefigurare il futuro mettendo a nudo gli scenari distopici. C’è una parte di noi, la più intima, che ci permette di reagire alle ingiustizie subite, facendo leva sulla cultura e l’istruzione di cui siamo portatori, scansando ogni forma di disonestà. È importante che i giovani lo sappiano e che si rappresentino l’atleta in gioco o l’allenatore a bordo campo, per quello che in realtà dovrebbero essere: persone capaci di praticare con i loro comportamenti, ogni giorno, pace, giustizia e istituzioni solide.