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(Il Post)

Circa un quarto degli adolescenti e post adolescenti non svolge alcuna attività fisica. La maggior parte di loro abbandona quella dell’infanzia. Un primato europeo. Colpa del sistema scolastico. Ma anche dei nuovi interessi.”

È l'incipit dell’articolo di Laura Taccani (“Italiani: un popolo di giovani pigri” - 28 luglio 2022) in Salute. Star bene secondo la scienza, il mensile di Repubblica. Pur essendo un habitué di pezzi simili, l’ho approcciato con curiosità. E il disappunto è emerso soprattutto per la colpa attribuita seccamente al sistema scolastico, nell'ambito di una questione a dir poco complessa, troppo spesso mascherata. Mi riferisco alla gestione del settore giovanile in generale.
I dati riportati dal CONI e dall’ISTAT, che ormai circolano da un paio di settimane, segnalano un calo della pratica sportiva tra gli adolescenti e i giovani adulti, confermando il problema del drop-out all’incirca tra i 12 e i 14 anni. In realtà, però, non stiamo scoprendo niente di così nuovo. E lo stesso dicasi riguardo i nuovi interessi e l’importanza di utilizzare il mezzo digitale a vantaggio del settore. Il tentativo di coinvolgere i giovani in una strategia comunicativa più efficace rispetto alle solite cui siamo abituati è piuttosto diffuso.
Scorrendo le informazioni, comunque, ho scoperto che per metà novembre ci sarà la finale di Sport Movies & Tv 2022 - Milano International Ficts Fest (40° edizione del Festival promosso dalla Fédération Internationale Cinéma Télévision Sportifs). E, nell’ambito dell’evento, l’associazione Women’s rugby land of freedom presenterà i video più significativi che daranno forma al contest appena lanciato e diretto agli under 18 per capire come questi ultimi, con approcci creativi diversi, vedono lo sport.
In soldoni, la notizia riportata nell’articolo è questa. Non c’è nulla di inedito, mi dispiace affermarlo. Iniziative di questo genere se ne fanno a pacchi, da anni. Forse, alcune sono oggetto di una comunicazione blanda o circoscritta, ma ce ne sono state e ce ne saranno ancora. È normale che si provi anche in questa direzione, mi sembra fisiologico. Procedere per tentativi ed errori è un'opzione, dopotutto.
Il mio dissenso, invece, deriva dalla parzialità con cui il sistema scolastico viene considerato la causa principale di un problema sanitario e di una cultura sportiva ballerina. Forse è il momento di scavallare la tendenza a identificare un finto colpevole - ispirato dalle più svariate ragioni - e gestire consapevolmente gli effetti di una pandemia, affermando il valore del movimento in termini di salute e di welfare, prima ancora che di prestazione, risultati e finanche di competenze.


Quando si parla dell’ambiente sportivo è fondamentale chiamare in causa tutti coloro che ne sono responsabili in maniera diretta e determinante: tecnici, dirigenti societari, scolastici e medici, presidenti federali e societari, direttori sanitari, docenti scolastici e universitari, giornalisti e caporedattori. Quindi, interrogarsi su come bisogna fare per migliorare quanto già si sta facendo, perché evidentemente non è abbastanza. Eppure resta il fatto che a quanto pare è sempre colpa di un altro, come recita Valerio Mastandrea, sul testo di Mattia Torre. Quando, invece, dovremmo iniziare a mettere a frutto, ma per davvero, quei video che tanto ci piacciono in cui Julio Velasco parla della cultura degli alibi (evidentemente a vuoto!).
Tornando all'articolo, il collega Fabio Lucidi, Preside di Medicina e Psicologia Sapienza - Università di Roma, accenna a una disamina sulla spinta giovanile a destrutturare l’impostazione verticistica, estremamente codificata, dello sport e a sperimentare un’attività fisica in libertà, riappropriandosi della dimensione ludica. Una chiosa ineccepibile sulla quale sono perfettamente in linea. Ma credo che come professionisti, anche noi psicologi applicati allo sport, è tempo che ci adoperiamo per aprire a dei ragionamenti più vicini ai fatti, in modo da ispirare un cambiamento comportamentale legato a dei valori profondi, oltremodo necessari. Provo a spiegarmi meglio.
La scorsa settimana sono intervenuta nel corso del Gold Camp della Volley Academy Manù Benelli. Ho trovato una realtà con dei numeri importanti e una qualità di rilievo. Aperta all'innovazione, in risposta ai bisogni formativi dei giovani, e permeabile alle influenze circostanti. Ho visto giovani contenti di fare quello che facevano, capaci di destreggiarsi tra spazi di autonomia, condivisione e responsabilità. Immersi in una dimensione non solo fortemente operosa, ma soprattutto attenta alle esigenze di ciascuno. È da questo che bisogna partire. Dall’attenzione, dalla volontà di esserci e di fare bene nel favorire la formazione dell’identità del giovane. Perché, cito la Benelli, "devo essere dove voglio la palla". E se sono nel posto sbagliato, il problema non è solo mio, ma di tutta la squadra.