"La consapevolezza di sé è la cosa più importante per chi vuole diventare un campione."
(BILLIE JEAN KING - ex tennista americana)
In allenamento, così come durante una competizione, sembra ormai risaputo che lo stato emotivo dell’atleta può influire sensibilmente sulla sua prestazione. In realtà, i protagonisti del mondo sportivo (allenatori, dirigenti, preparatori atletici, medici) finiscono, spesso, per arrovellarsi sulle sensazioni che traspaiono dagli stessi atleti e non sempre, in tal senso, riescono a supportarli come vorrebbero.
Dal momento che nella maggioranza dei casi, soprattutto se si tratta di competizioni, a prescindere dalla consapevolezza necessaria, si stimola un controllo assoluto delle reazioni emotive, gli atleti piuttosto che intendere l’emozione come parte integrante della loro prestazione e del loro processo di apprendimento, si abituano a considerarla come un aspetto avulso dal loro contesto sportivo.
Così facendo è normale che la capacità di verbalizzare le sensazioni rischi di diventare una chimera e non un’abilità mentale da possedere.
Inoltre è un dato di fatto che, per retaggi culturali che fatichiamo a smaltire, alcuni atleti ritengono l’espressione regolata delle loro sensazioni un segno di debolezza e non di forza.
Ad oggi, per superare le difficoltà nella verbalizzazione delle emozioni, sono state sviluppate alcune scale che richiedono all’atleta di attribuire un punteggio al proprio umore. Forse la scala più nota è il Profilo degli Stati dell’Umore (Profile of Mood States, POMS), un elenco di sessantacinque aggettivi che misurano sei aspetti delle emozioni - tensione, depressione, stanchezza, confusione, rabbia, vigore.
L'articolo integrale (pubblicato su Passione Ciclismo - Mensile di cronaca, cultura, studi e storia del ciclismo, Editore E-Editing srl e Tuttoaffari, Anno 2 - Numero 6 - Giugno 2008) è scaricabile gratuitamente cliccando qui.
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