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Letture sportive

 

letture sportive

 "Si legge quello che piace leggere, ma non si scrive quello che si vorrebbe scrivere, bensì quello che si è capaci di scrivere."

Jorge Luis Borges (2004). L'invenzione della poesia. Le lezioni americane. Mondadori, Milano

 

"Quando trovo la parola giusta per dire quello che sento è una vittoria."

Concita De Gregorio (2016). Cosa pensano le ragazze. Giulio Einaudi Editore, Torino

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo sviluppo nel ciclo di vita

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Letture sportive

Lo sviluppo nel ciclo di vitaSelezione a cura di M. Sassi - Lo sviluppo nel ciclo di vita, di Kloep, M., Hendry, L.B., Sica, L.S. e Aleni Sestito, L., il Mulino (2021)

Pagg. 110-1

Differenze di genere nelle relazioni tra coetanei
Alcuni anni fa, Golombok e Fivush [1994] hanno descritto lo sviluppo delle relazioni tra ragazze e ragazzi così: durante i primi anni della scuola primaria, ragazzi e ragazze giocano separatamente. Le ragazze hanno una migliore amica con cui parlano molto e condividono piccoli segreti. Giocano anche, ma i giochi in quanto tali non sono di grande importanza per loro. In caso di conflitto, interrompono il gioco per ristabilire l'armonia nella relazione. I ragazzi, invece, giocano in gruppo e non sempre hanno un unico migliore amico. Prediligono giochi competitivi con regole chiare. Se sorgono conflitti, li risolvono per continuare il gioco. Non fanno lunghe conversazioni con i loro coetanei. Se parlano, parlano per lo più del gioco e delle sue regole.
Così, mentre i ragazzi imparano a negoziare, a cooperare all'interno del gruppo e a competere, le ragazze imparano, soprattutto, a comunicare, ad ascoltare e a conservare una relazione. Ciò che sia i ragazzi sia le ragazze non imparano, o imparano in misura minore, è comunicare indipendentemente dalle differenze di genere. Ciò ha portato i ricercatori a parlare di culture di genere separate [Underwood 2007] e a sottolineare che, a causa dei diversi stili di amicizia durante l'infanzia, giovani uomini e giovani donne hanno difficoltà a comunicare tra loro nell'ambito dei rapporti sentimentali o sul posto di lavoro.
Questi modelli di amicizia differenziati in base al genere possono essere riscontrati in tutto il ciclo di vita. I maschi sembrano stringere amicizie basate sui rispettivi interessi e sulla competizione, mentre le femmine sono più interessate a formare relazioni più profonde, caratterizzate dal self-disclosure, empatia e affettuosa attenzione, nonché da ansia per la paura del rifiuto [Galambos, Leadbeater e Barker 2004; Shucksmith e Hendry 1998]. Sebbene le amicizie siano emotivamente appaganti per le giovani donne, il loro coinvolgimento emotivo, l'empatia e la dipendenza da relazioni intime come fondamentali per il loro benessere emotivo, le rende anche vulnerabili allo stress interpersonale e alla depressione [Rudolph, Ladd e Dinella 2007].
L'intimità, espressa nella rivelazione di sentimenti, paure e pensieri è importante per lo sviluppo di amicizie intime in entrambi i sessi, ma è più facile che, in essa, vi si impegnino le donne [Fehr 2004].

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Coaching Guardiola

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Letture sportive

Coaching GuardiolaSelezione a cura di M. Sassi - Coaching Guardiola, di Violan, M.À., Antonio Vallardi Editore (2014)

Pagg. 53-4-5-6

Cominciai a scrivere questo libro poche settimane dopo che Pep Guardiola ebbe assunto l'incarico di allenatore del Barcellona, nell'estate del 2008.
Già allora la testa mi diceva - e il cuore me lo confermava attraverso i suoi misteriosi meccanismi - che quell'uomo tutto d'un pezzo di Santpedor (Bages), giovane e in passato giocatore squisito formatosi nella cantera del Barça, era diverso e, semplicemente, era destinato alla gloria. Era l'eletto.
Un eletto, però, per qualcosa di più che la sola gloria sportiva: la gloria civile. Mi sentivo che sarebbe potuto diventare un modello di valori. Un esempio da seguire.
I mesi successivi mi avrebbero dato ragione. Arrivarono trionfi e imprese di ogni tipo, socialmente entusiasmanti, certo, ma in fondo in fondo episodici.
Per me la più grande scoperta fu vedere in quel ragazzo esile e ormai irrimediabilmente calvo la personificazione del senso comune. Sarebbe a dire, un'applicazione civica del senso comune e dell'arte di amare.
Un pranzo con la cantante Nina nel ristorante dell'Ateneu di Barcellona, in calle Canuda, mi aprì infine gli occhi. Ella mi disse:
«Miquel Àngel, tutto ciò che ammiri di Guardiola è semplicemente quello che i nostri nonni ci insegnavano da piccoli: che la vita è fatica, sacrificio, superamento dei propri limiti, lavoro costante.»
Aveva ragione. Era tutto quello che mi diceva lei più un'abbondante dose di senso comune, «il meno comune dei sensi», come recita il popolare modo di dire spagnolo.
Mi resi conto che quelle imprese sportive potevano essere occasionali, episodi a uso e consumo dei media, più attenti ai loro calcoli su come sfruttarle piuttosto che a un'autentica preoccupazione civile, e mi resi anche conto che questo era pericoloso.
Guardiola ci indicava un cammino che meritava di essere seguito. I suoi successi costituivano quello che nel linguaggio del management chiamiamo effetto dimostrazione, cioè un'esperienza di successo che rende palese la strada che bisogna seguire.

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Rivali

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Letture sportive

RivaliSelezione a cura di M. Sassi - Rivali. Sfide leggendarie che hanno cambiato lo sport. «l'Ultimo Uomo» (a cura di), Giulio Einaudi editore (2022)

Pagg. 88-9

Milorad Čavić amava dirla grossa per vedere che effetto avrebbe fatto. Non era un nuotatore come gli altri, anche se gli assomigliava, e diceva di non gareggiare per le medaglie. La sua fonte di ispirazione non era nemmeno un nuotatore, ma Steve Prefontaine, il mezzofondista statunitense che alle Olimpiadi del 1972 aveva deciso di condurre il gruppo dall'inizio alla fine dei cinquemila metri piani sacrificando l'oro, l'argento e il bronzo in cambio di una gara che potesse rimanere nella storia. Era lui ad aver detto che una corsa è un'opera d'arte che può essere compresa in tutti i modi che l'uomo possiede, e a Čavić piaceva ripeterlo. Arrivato a 28 anni, però, tutta la sua sicurezza era già evaporata. Il 2 agosto del 2012, nella notte del villaggio olimpico di Londra, Čavić prega, la mente ancora ferma a quattro anni prima, nella piscina del Centro Acquatico Nazionale di Pechino. «Dio ti prego, una volta finita questa gara, che vinca o che perda, medaglia o non medaglia, ti prego dammi la pace, lasciami andare avanti con la mia vita».

Nell'estate del 2008 non aveva ancora capito cosa significasse, ma aveva deciso che era arrivato il tempo per la sua opera d'arte e si era annunciato al mondo del nuoto sparandola grossa. Poche settimane prima dell'inizio delle Olimpiadi di Pechino aveva detto: «So che al mondo piacerebbe vedere Phelps vincere otto medaglie d'oro, ma io non voglio permetterglielo». Già nel 2004, Phelps aveva promesso di infrangere il record di Mark Spitz, il nuotatore statunitense che nel 1972 aveva vinto sette medaglie d'oro in un'unica Olimpiade. Se ci fosse riuscito la Speedo, che già lo sponsorizzava, gli avrebbe dato un milione di dollari. Ma Čavić voleva mettersi in mezzo: «Voglio uccidere il drago», aveva detto, senza sapere che ciò di cui si cibava il drago era proprio quel tipo di parole.

 

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Le regole e il sudore

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Letture sportive

Le regole e il sudoreSelezione a cura di M. Sassi - Le regole e il sudore, di Boniolo, G., Raffaello Cortina Editore (2013)

Pagg. 130-1-2

I genitori dovrebbero affidarsi alla società, a cui propriamente spettano le scelte, soprattutto quella dell'allenatore. Per contro, ovviamente, la società - ossia i suoi dirigenti - dovrebbe essere in grado di scegliere al meglio. A dire il vero, come non tutti gli allenatori sulla piazza sono grandi allenatori - anzi alcuni che mi è capitato di incontrare erano molto meno che mediocri -, così nemmeno tutti i dirigenti sono veramente in grado, per mancanza di conoscenze e di capacità organizzativa e gestionale, di compiere le scelte corrette. Tra l'altro, vi è molto più dilettantismo (inteso negativamente) tra i dirigenti, specie in società piccole o medio-piccole, che fra gli allenatori, i quali in fondo, bene o male, un po' di formazione, magari a livello locale, l'hanno ricevuta. Diverso il caso dei primi, che spesso non hanno alcuna preparazione né predisposizione e si trovano a dirigere per puro caso o per desiderio personale di apparire. Codesti amatori allo sbaraglio sono quasi più dannosi degli allenatori mediocri. Ma restiamo sugli allenatori.
Ricorderai, caro Silvio, chi fu il nostro allenatore in quell'anno passato insieme. Non era "malaccio", almeno relativamente alla nostra voglia di divertirci giocando, anche se aveva l'abitudine di scegliere il tipo di allenamento pescando a caso in un mazzo di schede contenenti ciascuna un programma di due ore. Eppure vincevamo, anche se non tanto perché c'era lui, ma per merito nostro. Non se ne accorse mai. Una simile inconsapevolezza delle ragioni della vittoria o della sconfitta è tipica di moltissimi allenatori impreparati al compito che dovrebbero svolgere. Pensano di essere validi perché vincono, ma non si accorgono che la vittoria avviene indipendentemente da loro (anzi, talvolta, nonostante loro). In realtà, sono i giocatori a vincere, da soli. Allo stesso modo, alcuni allenatori non riescono a capire le ragioni di una sconfitta, non rendendosi conto che a perdere non sono stati loro, ma i giocatori, magari i medesimi che la volta precedente avevano portato la squadra alla vittoria. Questa situazione si verifica soprattutto nei campionati giovanili o comunque di basso livello, dove bastano veramente pochi elementi che abbiano voglia di giocare e che abbiano capacità superiori allo standard medio, relativamente a quel livello, per cambiare drasticamente l'esito della partita. Certi allenatori pensano di vincere, altri di perdere, ma in entrambi i casi vittoria e sconfitta non dipendono da loro. Essi pensano di allenare ma, in realtà, dirigono solo il traffico. Magari si vincono alcune partite o si disputa un bel campionato, ma il merito è solo dei pochi atleti in gamba che sono stati in grado di volgere la situazione a loro favore. E lo sprovveduto allenatore non se ne accorge. Capita, purtroppo spesso.
Mi chiederai cosa pretendo dagli allenatori. Se fossi il responsabile di una società sportiva almeno un poco seria, esigerei prima di tutto l'educazione e il rispetto delle regole societarie; inoltre, vorrei che vi fosse almeno un'idea di ciò che viene chiamato evidence-based coaching, un approccio mutuato dalla medicina clinica.

 

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La trama lucente

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La trama lucenteSelezione a cura di M. Sassi - La trama lucente, di Testa, A., Rizzoli (2010)

Pagg. 154-5-6

Anche se negli ultimi anni sono stati fatti progressi importanti, resta del tutto misteriosa la maniera in cui segnali scambiati tra neuroni diventano le idee che si formano nella nostra mente.
Non è un mistero da poco.
Nell'organismo umano si trovano circa duecento tipi di cellule.
I neuroni, le cellule fondamentali del cervello, sono fra le più specializzate. Hanno misure ( da 4 a 100 micron), forme e connessioni diverse in base alla funzione. Ricevono, codificano, elaborano, trasmettono segnali elettrochimici, cioè impulsi nervosi. Sono diffusi in tutto il sistema nervoso, dal cervello al midollo spinale ai nervi periferici, e disposti in una rete neurale intricatissima, la cui struttura - lo dice il ricercatore Piero Scaruffi - «e le cui funzioni sono ancora largamente incognite, anche perché, ovviamente, tutto ciò che sappiamo lo sappiamo dallo studio delle anomalie cerebrali, non dallo studio di un cervello sano e vivo, che funziona correttamente: i neurologi possono esaminare soltanto i cervelli malati (o quelli morti). Per assurdo, conosciamo meglio le anomali del cervello che non le sue regolarità».
Il cervello umano, ricorda il neuroscienziato Walter Freeman, è «l'organo che nell'ultimo mezzo milione di anni si è sviluppato più velocemente di quanto abbia mai fatto qualsiasi altro organo di qualsiasi altra specie in tutta la storia della Terra».
È grande tre volte il cervello dei primati. E nel corso dell'evoluzione non solo cresce per dimensioni, ma cambia forma e struttura. La parte più primitiva è il tronco cerebrale, che circonda l'estremità superiore del midollo spinale. Non è un cervello che sa pensare o imparare ma fa un lavoro importante: regola il funzionamento dell'intero organismo e assicura che sia reattivo agli stimoli ambientali. Lo condividiamo con i rettili.

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