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Lo scorso 16 aprile abbiamo fatto un anno dalla scomparsa di Luis Sepúlveda, scrittore e uomo dal talento indiscusso.
Volendo celebrarne la grandezza, ho pensato di ricordare la qualità del suo pensiero attraverso un libro affascinante che ha scritto insieme a Carlo Petrini, Un’idea di felicità edito Guanda e Slow Food.
L’ho letto nel 2014 e ricordo ancora di averlo comprato nella formidabile Libreria Mondadori lucchese, durante una trasferta di lavoro. Negli anni a seguire, ho riflettuto spesso sugli spunti che ne ho tratto, ma volendone parlare dovevo trovare il tempo, il modo e la disponibilità di un professionista, per coniugare l’alimentazione a un’idea di felicità.
Così, questo mese, ho contattato Roberto Casaccia, biologo specialista in scienze dell’alimentazione che, dopo un’esperienza ventennale presso il proprio studio di nutrizionista, negli ultimi anni si sta dedicando prevalentemente alla formazione dei colleghi presso le Università di Bari e di Roma “Tor Vergata” e nei corsi ecm per le professioni sanitarie.
Roberto è presidente dell’Associazione BioPass Abruzzo a.p.s. e consigliere nazionale della Cassa di previdenza dei Biologi, in passato abbiamo fatto alcune cose assieme e oggi, malgrado i diversi impegni, è riuscito come di consueto a mettere a frutto tutta la sua professionalità nel darmi una preziosa chiave di lettura degli aspetti su cui sono tornata a soffermarmi nel rileggere la conversazione tra Luis Sepúlveda e Carlo Petrini, fondatore dell’associazione Slow Food.
Il tutto ha preso forma tra sei domande e sei risposte di ampio respiro.
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🧠 Luis Sepúlveda dice la “la lentezza non consiste solo nell’andare piano, ma è la possibilità di recuperare un ritmo personale di movimento e di sviluppo”. Si può intravedere una relazione tra lentezza, movimento e cibo? Quale?
🍝 Praticare la lentezza significa riappropriarci dei ritmi naturali.
Un esempio a tavola? Prendiamoci del tempo per masticare adeguatamente ogni boccone. Oltre a farci scoprire come sia possibile cogliere tutte le sfumature di sapore, la masticazione lenta faciliterà i processi digestivi e permetterà un precoce raggiungimento della sazietà, evitando così pericolosi eccessi.
Senza entrare nei dettagli della fisiologia, la masticazione lenta (100 volte a boccone dice la medicina tradizionale cinese, forse esagerando un po’) assicura un’ottima predigestione dei cibi rendendo meno impegnativo il lavoro dell’organismo e consentendo un più efficace assorbimento dei nutrienti; al tempo stesso si attivano alcuni recettori che riducono l’appetito e vengono messe in funzione la termogenesi e la lipolisi che, ove ce ne fosse bisogno, possono contribuire alla perdita di peso.
Al di là di questi innegabili vantaggi, vorrei però porre l’accento sull’aspetto sensoriale.
Lentezza significa poter godere appieno di tutto ciò che la tavola ci offre. Se siamo ben presenti a noi stessi nel momento del pasto, allontanando i motivi di distrazione, potremo assaporare lentamente con tutti i sensi.
Un piatto piacevole alla vista, le sensazioni gusto-olfattive, tattili e chemestesiche provocate dal cibo e finanche quelle uditive (pensate allo sgranocchiare di una carota cruda o, se non vi spaventano le calorie, al guanciale soffritto di una carbonara) ci faranno sentire appagati e felici. E scusate se è poco!
🧠 Nell’approfondire la sua idea di condivisione, Carlo Petrini si sofferma sul valore della convivialità. Sembra che alla base della possibilità di costruire qualcosa di nuovo ci sia soprattutto la capacità di sviluppare un interscambio armonioso e di accogliere ciò che è estraneo. Quali sono i cibi provenienti da altri Paesi che suggeriresti di integrare con quelli italiani?
🍝 Premetto che qualsiasi contaminazione tra culture diverse, se le componenti del mix hanno pari valenza e opportunità, produce effetti positivi. È evidente che ciò non accade se una cultura predomina sulle altre come avviene, ad esempio, per la globalizzazione, nel settore alimentare e non solo. Prima di parlare di diversità, vorrei accennare ad una situazione virtuosa di uguaglianza: lo stile alimentare mediterraneo che accomuna una serie di Paesi che hanno lo stesso clima, gli stessi prodotti agroalimentari e le stesse abitudini, non ultime quelle della convivialità e della socializzazione dei pasti. Dalle culture diverse possiamo adottare qualsiasi cibo purché sia nutrizionalmente accettabile (il cibo nutrizionalmente perfetto non esiste) e igienicamente sicuro. In particolare, a mio avviso, potremmo acquisire vantaggi dalla contaminazione con uno stile alimentare che è al tempo stesso diverso e affine al nostro: la “dieta” asiatica. Essa ha evidenti analogie con la dieta mediterranea, è ricca di vegetali e di pesce, privilegia alimenti crudi o cotti al vapore ed ha la frugalità e la convivialità tra i suoi capisaldi. Non a caso il Giappone è il Paese con la più alta aspettativa di vita alla nascita e dove vivono il maggior numero di centenari.
🧠 “Si dice che il cibo, una volta cucinato rappresenti la natura che si trasforma in cultura.” (cit. Carlo Petrini) Qual è l’importanza di educare, soprattutto le nuove generazioni, alla comprensione del processo che intercorre tra queste due facce della stessa medaglia: natura e cultura?
🍝 La trasformazione della materia prima, animale o vegetale, in cibo è sicuramente un fenomeno culturale e, come ben sappiamo, è variamente declinato nelle sue forme a seconda delle diverse comunità umane. E non dobbiamo pensare solo alle tecniche di cottura ma anche a tutte le altre modalità che consentono la “costruzione” del cibo che portiamo in tavola a partire da ciò che la natura offre. Penso alle fermentazioni, alla caseificazione, alle antiche tecniche di conservazione come salagione e affumicamento. La parola “cultura”, del resto, nasce dal verbo latino “colere”, coltivare, ed ha quindi, fin dalla sua radice etimologica, uno stretto rapporto con ciò che mangiamo. Se invece andiamo oltre l’origine della parola e consideriamo la “cultura”, come la capacità che hanno l’educazione e la filosofia di affinare l'animo umano, direi che, di questi tempi, di cultura c’è molto bisogno, e non solo per le giovani generazioni ma per tutti gli umani con i quali condividiamo la natura di un piccolo, periferico, corpo celeste che si chiama Terra.
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