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Una ventina di giorni fa c'è stato un confronto tra Roberto Mancini, Gianmarco Pozzecco, Alessandro Campagna e Ferdinando De Giorgi, tecnici di indiscusso valore, non solo nelle intenzioni, ma anche e soprattutto nei comportamenti e nelle scelte (“Allenare l’Azzurro - CT a confronto”). A riguardo del proprio gruppo, Campagna ha espresso chiaramente l’idea che segue nel prendere decisioni: i tredici da considerare non sono i migliori, ma i tredici più funzionali a un'idea di gioco e a far funzionare meglio la squadra. È un aggancio forte sul sistema sportivo generale, che legittima una reciprocità fatta di conoscenze ed esperienze tra Nazionale e territorio, volta a definire, nello sviluppo dei processi e nel coinvolgimento delle nuove generazioni, tutti i ruoli, centralizzati e non, da armonizzare tra loro. Ad oggi, inoltre, lo stesso CT sembra aver metabolizzato che coinvolgere umanamente il giocatore e stabilire con lui un rapporto empatico diventa l'unico modo efficace per dare quel qualcosa in più, elemento invocato dallo stesso Ministro Abodi nei saluti di apertura al dibattito. È evidente che nelle condizioni in cui siamo, alcuni dettagli risuonano diversamente rispetto a qualche tempo fa. Mi viene da ripensare alle parole di Sandro Campagna in prossimità di Tokyo 2020: “quando tu fai tutto con grande leggerezza, con impegno, ma allo stesso tempo ti diverti, è facile che poi arrivi; non si sa dove, ma è facile che arrivi”. Attualmente un primo obiettivo credo sia proprio la riconquista degli spazi di leggerezza andati persi. Ma soprattutto abbiamo una consapevolezza nuova e la responsabilità di metterla a frutto. Così, per fornire un esempio e disporre di un elemento di riflessione rispetto alla Nazionale, ho solleticato le idee di chi si confronta giornalmente con il proprio club. Sto parlando di Marta Colaiocco, allenatrice dell’Under 18 e 20 (maschile) della Rari Nantes Florentia, tecnico regionale femminile della rappresentativa toscana e consigliere federale regionale. Nel coinvolgerla, ho riscontrato somiglianze, differenze, spazi all'interno dei quali c'è ancora un importante lavoro da fare per allineare il sistema e favorire un'armonia irrinunciabile. Sono emerse sei domande e sei risposte, molto precise, su cui avremmo potuto argomentare a lungo, e invece, nel preferire la concisione, ci siamo semplicemente proiettate su un futuro più o meno prossimo.
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🧠 Il gioco della pallanuoto condensa la componente ludica con il gusto della lotta in una dimensione totalizzante arricchita dalla dinamica natatoria. C’è un fattore destinato a prevalere sugli altri? Se sì, quale? E se no, com’è possibile in una disciplina che si gioca a un’intensità così elevata realizzare la miscela più funzionale al raggiungimento di un risultato favorevole?
🤽 Al di là dei singoli fattori, la giusta miscela tra mente e corpo fa sì che si possano raggiungere risultati favorevoli. La pallanuoto, al contrario di ciò che si può pensare, non è solo uno sport fisico, ma soprattutto mentale. Per raggiungere dei risultati favorevoli, bisogna essere costanti e continui negli allenamenti, disposti a produrre una quantità di sforzo notevole. Mi spiego meglio: questa disciplina necessita di almeno nove allenamenti a settimana. Se si pensa ad alto livello, almeno due allenamenti in acqua al giorno, più tre sedute di palestra. In definitiva è uno sport che non può essere praticato senza sacrifici.
🧠 Appurata l’intensità dell’esperienza, considerando la dinamica di gioco come una metafora delle relazioni interpersonali e facendo i dovuti rapporti, potremmo leggere ogni singolo elemento della pallanuoto come un’occasione per formare la propria identità e la propria personalità. Prendo un’indicazione a campione dal settore tecnico per fare un esempio. Correggimi se sbaglio. Per palleggiare il pallone va accarezzato leggermente con le dita aperte. L’arto che sta per ricevere il pallone non deve mai essere rigido, ciò farebbe da “muro” e provocherebbe un rimbalzo. Mi viene naturale abbozzare una corrispondenza tra il palleggio e la capacità comunicativa. Quindi, proviamo a stabilire che il pallone corrisponde al contenuto del messaggio e mettiamo che i rapporti sono plausibili; “va accarezzato leggermente con le dita aperte” traduce una gestualità che sembra alludere all’empatia, quella capacità che permette di sviluppare fiducia e collaborazione tra le persone. È come se la pallanuoto, vista in questo modo, ispirasse un modo efficace di stare al mondo anche attraverso i suoi elementi tecnici. Quali abilità acquisite giocando in acqua ti sono tornate utili in questi primi anni da ex giocatrice? E, soprattutto, quali sono le capacità di leadership che devi ancora sviluppare trovandoti in una nuova posizione rispetto a quella di centroboa?
🤽🏼♀️ La pallanuoto, come tutto lo sport, a mio parere, è un modo efficace per stare al mondo, per formare la propria identità e personalità. Sono d’accordo con la tua prospettiva.
Lo sport in generale, credo sia innanzitutto una scuola di vita, insegna ordine, disciplina e a relazionarsi con gli altri, che siano essi compagni di squadra o avversari, con fiducia e rispetto. Non sbagli assolutamente con l’esempio del palleggio: l’empatia, la capacità di mettersi nei panni altrui permette di sviluppare fiducia e collaborazione tra le persone e quindi tra i giocatori. In questi primi anni da ex giocatrice, soprattutto nella mia nuova vita da lavoratrice in piscina e in ufficio, le abilità acquisite in acqua, che mi sono tornate più utili sono state: lo spirito di sacrificio, il sapermi gestire in qualsiasi situazione e non arrendermi mai di fronte alle difficoltà. Lo sport insegna che nulla è impossibile e tutto dipende dalla tua forza di volontà, non sempre il risultato sarà positivo, ma a lungo andare il “duro lavoro” ripaga. Quale leadership devo ancora sviluppare? In realtà non lo so, ahahah … credo che in questo nuovo ruolo da allenatrice io abbia da imparare ancora tanto. Una cosa è certa: sto cercando nel mio piccolo di non ripetere gli stessi errori che i miei allenatori hanno fatto con me, e di dare la giusta dose di “bastone e carota”. Mi relaziono con generazioni completamente differenti dalla mia e dalle precedenti ed il compito è alquanto arduo.
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